Lydia Silvestri
mostre personali
Lydia Silvestri
1989 "Arianna e il Minotauro " - Corso Vittorio Emanuele, Milano ITA
(magma: materiale innovativo composto di inerti e resine Palatal)
 
 
Lydia Silvestri – "Arianna e il Minotauro", Milano 1989
«Così intricati i fatti dell’avventura di Creta sono,
e mutabili i simboli, e scomponibili gli elementi,
e intercambiabili i valori, da permettere infinite invenzioni.
E perché mai Arianna dalle chiome lucenti,
Signora della luna e presaga, avrebbe dovuto sapendo,
accettare di essere complice prima, e abbandonata poi?
Forse per lei come per Giuda Iscariota, non ci fu scelta ma predestinazione.
“Questo è il filo del tuo ritorno” dice a Teseo col suo dono.
“Incontrò un fiore”, “… e i testimoni”, “… e le orme”, “… e l’eco”,
sono le tappe di Teseo verso il dentro del Labirinto, ma
per Arianna, momenti del suo uscire dall’incantamento amoroso,
per ritrovare la consapevolezza.
E allora corre, corre per salvare il Minotauro.
Ma solo l’eco del suo tormento si infranse fra gli
intricati meandri e i tortuosi camminamenti del Labirinto,
e straziato il suo rimpianto
"Perché io?
fui prescelta dagli Dei,
perché io?
perché io a tradirti fratello adorato?"».
Lydia Silvestri
 
Tommaso Trini – "Presentazione al catalogo mostra personale Arianna e il Minotauro", Corso Vittorio Emanuele Milano 1989
«Lydia Silvestri è una delle poche artiste contemporanee che irrora di calda sensualità le sue forme, anche le più astratte. Le movenze del piacere arabescano da sempre le sue sculture e più recentemente i disegni.
Ho ancora in mente una fotografia di Ugo Mulas da una Biennale dei primi anni Sessanta, un gruppo di signore accanto alla scultrice, intorno a un suo astrattone di marmo, turgido per non dire priapico, e qua un tocco di mano e là un altro: una carezza a Pan. Al tenerone maschile alcuni cicli di figurazioni floreali hanno aggiunto sovente la rosellina di carne cantata da D’Annunzio.
 
Su questo erotismo diffuso prorompe adesso un’altra vena di godimento che l’arte contemporanea sembrava avere esaurito, la vena narrativa, il piacere di raccontare. Lydia Silvestri ha lavorato per molti e molti mesi a una straordinaria suite di sculture a dimensione urbana che narra di un mito, un mito peraltro sotterraneo. L’ha concepita appositamente per quel “percorso della scultura” (ideato da Elio Santarella, pittore in proprio) che da qualche tempo occupa l’isola pedonale di Corso Vittorio Emanuele al centro di Milano; laddove altri scultori hanno già riunito alla bell’e meglio singoli pezzi non sempre coordinati. Ecco invece un’opera a tema, un camminamento plastico e figurativo, un complesso di pietra orchestrato come un’opera lirica. Installazione temporanea lunga trecento metri, il colossale racconto è ripartito in nove episodi. La prima scena è occupata da Arianna, l’ultima dai cavalli di Teseo.
Qui, Arianna trepida per il Minotauro e qualcuno ha fatto fuori Teseo. E’ cambiato il racconto e qualcosa è mutato anche nell’arte di Lydia Silvestri.
 
Una monumentale passionalità ha scavato i fianchi un tempo placidi della sua scultura. L’ondulata orizzontalità che ieri inarcava ogni volume sotto la carezzevole uniformità della luce ha lasciato prevalere oggi la verticale dei lunghi corpi che poggiano su coni d’ombra. Superfici nervose, linee zigzaganti, una volumetria in lotta con il peso, con la gravitazione, acutizzano l’espressività plastica tanto più intensa in passato. E’ l’immaterialità delle ombre che ora forma la materia, ben più delle mani sensuose dell’artista.
La scultrice lavora all’altezza dei tempi, ma in profondità. L’attualità predilige lo smemorato storicismo delle citazioni? Lei recupera, non stilemi premoderni, ma quella radice dell’arte, più antica dell’arte antica, che è la passione. L’Arianna porta in dote una scena (che è già là) a un’azione che rinnova le passioni rinnovando la cura delle cose. L’attualità viene definita ipermanieristica se non strabarocca? La scultrice turba i simulacri della bestia mitica, ibridando solo gli amori; moltiplica i vuoti dello spazio, come se fossero più numerosi e dei pieni. L’arte oggi è ellenistica e labirintica? Lei prende di petto il labirinto stesso e lo stravolge.
L’importanza della monumentale Arianna di Lydia Silvestri è pari alla sua complessità. Monumentale è la scala narrativa, lo spessore degli eventi, l’amalgama delle storie qui liberamente istoriate, la trama epigrafica che sui rimandi letterari al mito tesse l’ordito delle forme plastiche astrattizzanti e dei materiali sintetici (ecco un’altra novità) prodotti recentemente dall’industria; il monumento accoglie un’interessante stratificazione di storie entro la dimensione urbanistica della scultura. Non sempre uno scultore è capace di costruire a grande scala, molti falliscono poiché trasferiscono l’arte da galleria in uno sterile gigantismo da piazza. Se Lydia Silvestri ha realizzato un organo di pietre, commovente per lo sguardo come un organo per l’ascolto, epico per un’isola pedonale nel cuore di Milano come un frontone greco sull’Acropoli, modernissimo tuttavia come un percorso di land art memore di Creta, lo si deve – io ritengo – alla sua capace voglia di raccontare.
 
Interdetto dalle avanguardie passate, il racconto torna oggi nella figurazione attraverso il lavoro delle donne artiste. Ancora recentemente, Hans Magnus Enzensberger diagnosticava per gli individui di massa, sterilizzati dalla tv e dai medi, la perdita di ogni capacità narrativa. Non è più tanto vero per l’arte, dove le artiste riflettono massivamente sui rapporti tra la figurazione e la scrittura, recuperano la temporalità della narrazione e reintroducono i ritmi oracolari della comunicazione orale, dopotutto, stanno ricreando le origini delle storie contro le scritture patriarcali. E cosa racconta l’atra metà dell’arte di oggi? Molto modernamente, narra la nascita dell’arte e dei linguaggi.
Il nuovo organo statuario di Lydia Silvestri convince e affascina perché a ben vedere dispiega un duplice racconto, due fronti complementari di figure e di memorie, gli uni negli altri. C’è una versione plastica al femminile del mito di Arianna. E c’è connaturato, il racconto ontologico della nascita occidentale dell’arte attraverso la figura del labirinto. Nell’affabulazione primitiva sugli déi, le creature creavano i propri creatori. Memore del Dedalo, la scultrice ricrea le origini dell’architettura-scultura (che per noi e fin qui affondano, come ognun sa, nei tempi arcaici ma non necessariamente patriarcali di Creta, delle Cicladi e della leggenda dedalica) nel segno lineare di Arianna.
“La storia di Arianna è intrecciata tutta in una corona”, scrive Roberto Calasso nello splendido mosaico che ha recentemente dedicato alla riscrittura dei miti greci. Un gran bel libro in cui alle donne,alle semidee e anche a qualche dea viene restituito tutto il tragico ella condizione femminile, e la cui lettura ci restituisce la cadenza orale e mnemonica della narrazione omerica. Un rimemorare ciclico che sovente illumina di luce nuova quel che credevamo di sapere sulla statua, il rito, il simulacro e la visione dei simboli figurativi. Così autorizzata a riformulare le vicende e il senso del mosaico mitologico. Lydia Silvestri torna sulla tragica Arianna proponendo un supplemento di pathos. E se la sempre abbandonata figlia di Minosse – ipotizza la nostra autrice – avesse amato il mostruoso fratellastro Minotauro, tanto più infelice in quanto destinata dagli déi a tradirlo, abbandonandolo all’uccisore Teseo? Passioni a parte, la versione è affascinante anche in termini plastici. E se Arianna Avesse affidato il mitico filo al labirinto di Dedalo affinché l’amato Minotauro ne approfittasse per uscirne, in barba al costruttore cretese e contro Teseo fondatore di Atene? La versione plastica della Silvestri, guardate, risulta lineare e non labirintica. Semplicemente spezza la corona che nel simbolismo originale imprigiona la donna. La lega a Teseo o Dioniso, e poi la spinge a impiccarsi. Ecco come il tema mitologico e i temi figurali sono qui tessuti tra loro per sciogliersi lungo un playground metropolitano.
 
In avvio, dunque, troviamo la figura di Arianna e come sarà ben visibile a metà del percorso, il Minotauro sul cui capo si erige un corno dorato. Il percorso risulta pausato da sedili in pietra e da fiori in una spazialità tutt’altro che oscura e sotterranea.
Ovunque, simulacri di pietre e marmi che in realtà risultano poi essere un mãgma, cioè prodotti di sintesi della plastica industriale, lapislazzuli e coralli compresi. Il labirinto non c’è più, in quanto luogo di perdizione tra i dedali non c’è mai stato perlomeno nel disegno originale del labirinto cretese, e comunque Arianna qui lo ha assimilato alla linearità del suo filo. Di nuovo c’è questo epigrafare di Lydia Silvestri che fa dire a Arianna, semidea d’argento lunare del labirinto: “Perché io?”. E infine il corno. Non una forma, ma l’annuncio di una forma non dissimile da quella dell’axis mundi. Dorato sotto la veglia del giorno e presumibilmente argenteo nottetempo, quando anche i frettolosi nottambuli della metropoli sostano agli angoli del sogno, il corno splendente copra l’oscurità segnala che il Minotauro torna alla luce, indica che il centro del labirinto è libero. Forma danzante che simboleggia l’unione. Nottetempo, liberandosi un poco più in alto dei legami del destino, l’unicorno unisce l’argento e l’oro, la luna e il sole. Annuncia l’unione di Arianna col mito»
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Tommaso Trini
 
Lodovico Belgioioso – "Le sculture nello spazio cittadino", Milano 1989
«Scultura e architettura, è quasi ovvio ricordarlo, non hanno fra loro una delimitazione ben definita.
Fregi, statue, bassorilievi, espressioni plastiche di elementi architettonici tendono piuttosto a unificare che a separare le due arti.
In certi momenti della storia, poi, alcuni edifici, o le loro parti più significative, appaiono più come l’opera dello scultore che non quella dell’architetto. Ad esempio le “kore” dell’Eretteo o certi portali barocchi decorati da statue.
Più problematico è il rapporto fra la scultura e lo spazio urbano inteso come il vuoto delimitato dalla edificazione cittadina.
Qui vi è stata una lunga tradizione di complementarietà fra spazio e scultura, che và dall’affaccio delle decorazioni scultoree delle architetture che delimitano gli spazi stessi, alle sculture isolate come fontane, statue, balaustrate e monumenti a ricordo di fatti o di personaggi.
 
Se ripercorriamo con la memoria visiva le immagini di tutto il percorso della nostra storia, possiamo constatare l’estrema importanza dell’inserimento di questa valori scultorei nell’ambiente costruito. Questi, oltre al godimento di carattere estetico conseguente all’abbellimento delle vie, delle piazze, dei giardini, hanno sempre avuto anche una funzione didattica per ricordare avvenimenti, personalità ed anche miti che stanno alla base della nostra cultura.
Milano non è di certo ricca di sculture. Pochi sono anche, nei confronti della sua dimensione, le statue di personaggi ed i monumenti commemorativi di eventi storici che emergono fra le case, ormai quasi rattristati dalla miriade di automobili che invadono letteralmente il suolo cittadino.
 
Ben vengano quindi le iniziative di portare sul suolo pubblico, particolarmente quello riservato ai pedoni, opere di scultura anche con esposizioni di carattere temporaneo, che, in un certo senso, abbiano anche una funzione rieducativa, particolarmente per quel pubblico che non frequenta i musei, per rallentare la sua affannosa corsa quotidiana dalla casa al lavoro e indurlo a sostare, ad osservare, a compiacersi, a ricordare ed anche a meditare.
Ci auguriamo che la mostra di sculture dal Duomo a San Babila con le opere della scultrice Lydia Silvestri, possa costituire una conferma esemplare di questa nuova atmosfera intesa ad arricchire il clima cittadino»
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Lodovico Belgioioso


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