Lydia Silvestri
mostre personali
Lydia Silvestri
1984 "Incontri" – Galleria Ada Zunino, Milano
novembre (semigres ad alto fuoco)
 

Elda Fezzi – "Presentazione al catalogo mostra personale Galleria Ada Zunino", Milano 1983
«Gli "Incontri", sculture che Lydia Silvestri dal 1981 all'83 ha cavato da una lunga e magistrale lavorazione del "gres" (materiale cotto ad alto fuoco), concentrano nelle loro complesse equivalenze plastiche una intrigante quantità e qualità di riferimenti, una molteplicità di segni e sensi, nella ricerca di una unità formale, di un icastico moto coesivo. Frammenti di ricordo, relitti di archetipi e forme più evolute premono insieme a costituire una sorta di reliquiario ma, al tempo stesso, l'intera sequenza degli "Incontri" respinge l'idea di una comoda conservazione di un semplice accumulo, per spremere dal fondo più acceso della memoria e del fare, nel presente, un dinamico e incessante "esserci" del molteplice; è un riaggregarsi di parti rudimentali e colte, memoriali e attuali, tramite singolari modi di contaminazione e compenetrazione.
Nelle "figure" intrecciate anche nella forma organica e costruttiva, arcaica e moderna, si iniettano le accorte manovre di questo lavorìo incessante e quasi esasperato, che comincia la sua indagine dalla proprietà e possiblità del materiale: un materiale di per sè camaleontico, con quel suo ricordo di memorabile calore di cotto, di sole e di carne, e che, al tempo stesso, diviene materia resistente, dura, quasi ferrigna attraverso l'alta temperatura.
Inoltre la recente parabola scultorea assorbe e trasforma in una “specie” plastica tridimensionale e sincretica molti dei richiami iconologici e linguistici che si comprimevano nei più ieratici complessi precedenti: gli “Ex voto”, i “Sogni”, le “Storie d’amore della Bibbia”, la “Storia di Salomè”.
 
L’organismo scultoreo odierno, preceduto e accompagnato da una esplorazione grafica continua e ampiamente articolata, volge ad una più alta essenzialità, si sparge, si aggrega e annoda in plessi formativi agglutinati. Cava risorse da un ricco mondo figurale, accostando archetipi, sasso e stinco, ad altri più spiegati e narrati brani corporali, ai sussulti intensi e prolungati di bellissimi brani anatomici, scendendo a raccogliere una fragrante gestualità fisica, incontrando e attraversando un vasto brusìo del reale, tra l’accumulo di cose e testi di natura e scultura di affetti e concetti; e il viluppo di simboli organici scorciati e contratti.
 
Scultura tutt'altro che pacifica e accomodata, anzi inestricabile nella logica delle sue peripezie: ma estremamente ricca di ambiguità e di momenti risolutori, che sono pronunciati in una icastica "imago", in una morsa formale che si contrae o estende in vigorosi accenti narrativi. Racconto è anche l’accidentata duzione di masse e superfici all’interno dello stesso organismi che viene nascendo.
Una morfologia che conosce molte cose, molte esperienze, e accestisce come un frutto carico, da un terreno grasso, da una foresta fitta, labirintica, dove Lydia Silvestri si inoltra con una coraggiosa armatura di esperienze fabrili e intellettuali, e di stigmate del vissuto. E poi, al di dentro di un affinato gioco plastico che trasforma in frutice stratificato e tenace un viluppo inturgidito di impulsi, rimangono tangibili e sensibili le irregolarità, gli scatti ribelli, le violenze di spasimi e presagi, di attrazione e di furori, un miscuglio ribollente di “odi et amo”.
Uso termini astrattivi, ma una lettura aderente ai plessi di ciascuna opera mostrerebbe nei segni specifici questo gioco di conflitti molteplici, teso tra una grande disponibilità al racconto e alla coreografia distesa e generosa, e una superba chiusura, il secco rifiuto di abbandonarsi… e di compiacersi di sé e dei propri risultati.
Tanto, che la scultura esprime anche e soprattutto continue interruzioni, fratture, cambio di marcia, stacchi bruschi.
Là dove stai spiando un finissimo ergersi e tendersi di un “nudo”, di un torso che palpita come un antico frammento scultoreo, battuto a una nota chiara, morbida, di materia fittile, presto, bruscamente, quel percorso è inceppato, cambia il registro del colore, il frammento entra nell’ombra cupa, s’incunea in un altro elemento rigido…
Molti frammenti di grande bellezza ed euritmia sono nascosti sotto la caligine (il gioco misterioso delle “patine” della Silvestri è un altro dei suoi segreti, come si sa da tempo…) e dentro la crescita della foresta, la fungaia della scultrice, che ha anche un originale e originario senso satirico, ironico, perverso, di trinciare figure parasurreali, di arricchire e turbare con innesti paradossali e provocatori il grande “molteplice” della sua “costante erotica” (già acutamente individuata da Roberto Sanesi, da Miklos Varga negli anni ’70).
Si intende bene d’altronde, con quanta e quale attenzione si sia svolto il processo di manipolazione e di cottura degli “Incontri”.
Anche nella vicenda operativa si sono dati convegno i gesti rapidi energici e abili nel plasmare con straordinaria “sourplesse” i passaggi e le crescite più agili della forma, e insieme, le rotture impulsive, gli scatti immaginativi che trasformano e deviano il ritmo e la formazione verso altre dimensioni e significati.
Ad un ritmo di “amplesso”, di accoppiamento si collega una profonda e cosmica vitalità animale, e al tempo stesso interviene una spaccatura, un irrigidimento minerale e fossile, un principio di metamorfosi tubolare, meccanica ferrigna.
Sviluppi dorsali e curve d’anca che si tendono in lotta amorosa, mostrano sinuosità serpentine e insieme, acquistano ai margini una durezza calcinata e spenta.
Ma è chiaro che una nuova duttilità rimuove l’”invenzione” scultorea, sia da esplorazioni esclusive dei “simboli organici”, dall’autonomo costruire di forme “esterne e interne” su cui si è affannata tanta scultura moderna e contemporanea; sia da altre propaggini di relitti desertici e meccanici che hanno più volte ripetuto per analogia o per tautologia il luogo della catastrofe, l’accumulo dei detriti,
Qui appare una riappropriazione più eterogenea, che rimette in crogiuolo ingredienti diversi e passabili di inconsueti contatti e contagi, fecondi di una iconologia tutt’altro che inerte.
Anch’essa non ignora la difficoltà di cavar costrutti espressivi in tempi come i nostri, e dà il segno, tra drammatico e attivistico, di uno sforzo ostinato e allucinante di cercare punti di contatto tra il passato e il presente, fra complessi gangli formali e il linguaggio del corpo.
Non mancano sintomi di minacciose metamorfosi, come nell’ambigua concreazione carnale-vegetale del “Phallus impudicus”, monumentale fungo Satirione, tronfio e rosato che la scultrice eleva con stregonesca perfidia e ilarità, come un “monstrum” che fagocita altro corpo, emblematico “Hybris” alchemico caduto in terreno “Pop” e di consumismo psicoanalitico.
E’ satura di segni e di sensi questa scultura, anche per quella patina plumbea, malinconiosa, saturnina, che copre e annera gli snodi, le convessità, i torsi acefali, lasciando radi fiati di luce; quelle focature rosacarne che scivolano in anfratti e prominenze, ventri e seni, insinuando un’ultima o albeggiante sensibilità di zone erogene.
E’ una penetrante memoria di pelle e carne viva che riaffiora, come se un barbaglio di sole visitasse per un attimo questi stinchi carboniosi e risvegliasse un antico e nuovo calore colore.
Nella sua morfologia conflittuale, ogni brano plastico presenta i fermenti di una ricchezza sensoriale e intellettuale di sorprendente estensione e intensità.
Nella genesi accidentata di questi “Incontri” si imprime un senso di realtà vissuta dall’interno, un segno più caldo di attrazioni e ripulse, di complicità e distacchi, di coinvolgimenti affettivi.
E’ indubbio che la tregenda di un’”ars amandi” assaporata nelle sue più libere e più oscure vicende e riversata in essenze memoriali del giorno dopo (poesie del “giorno dopo” di Lydia Silvestri accompagnate da sue acqueforti figureranno in una prossima pubblicazione con la presentazione di Grytzko Mascioni) attraversa i nodi felici e le fratture laceranti di questi incontri, le violente spinte e gli slanci bloccati, gli aneliti di estrema dolcezza e sinuosità, insieme agli stacchi repentini.
L’incontro di frammenti emblematici non si chiude su una formula ripetitiva, si arricchisce di rimandi e di echi, di intuizioni ed evocazioni alla storia e al mito, alla natura e all’arte, non senza rimandi a epoche e forme lontane, orientali; intrecci che non si finisce mai di scoprire.
Ricorre il ritmo attorto di forme serpentine “ab antiquo” già ricche di significati contrastanti, animalità e spiritualità, aggressività e difesa.
Accanto all’inseguimento di un raffinato rituale erotico, la scultura di Lydia Silvestri congiunge talora i resti di naturali e mitici incontri, le memorie consce e inconsce di un “eros” ancestrale, di orge pastorali dove lo zoccolo equino o caprino, di fauno o di satiro, recita il suo ultimo scatto presso i fianchi teneri di una divinità ctonia»
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Elda Fezzi


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