Lydia Silvestri
mostre personali
Lydia Silvestri
1976 "Storia di Salomè" – Galleria Vismara, Milano
maggio (bronzi e incisioni)
 
 
n°1: Io sono Salomè,
figlia di Herodias
Principessa di Judaea
 
  n°5: Chiedo la testa di Jokanaan
Tetrarca, dammi la testa di Jokanaan
Voglio la testa di Jokanaan
 
n°2: Pallida, pallida
Ombra di rosa bianca
in uno specchio
 
  n°6: Le sue schiave portarono i profumi
e i sette veli
e le tolsero i sandali d'argento
 
n°3: Io bacerò la tua bocca
Jokanaan,
bacerò la tua bocca
 
  n°7: Che farò Jokanaan?
Nè fiumi nè oceani potranno spegnere
la mia passione
n°4: Danza, ti prego,
danza e ti darò tutto,
tutto ciò che vuoi
 
   

 
Miklos N. Varga – "Presentazione al catalogo mostra personale Galleria Vismara", Milano 1976
«Il Decadentismo rivisitato da Lydia Silvestri nella sua "Storia di Salomè" (il ciclo comprende 7 sculture in bronzo di vario formato e 7 incisioni raccolte in cartella è un omaggio, forse non del tutto premeditato, a Oscar Wilde, cioè all'artista che ha saputo riassumere e sublimare nell'esperienza estetica i travestimenti dello spirito e le inquietudini della carne lasciando, come egli aveva descritto Dorian Gray, "che in squisito abbigliamento e al delicato suono dei flauti gli sfilassero dinnanzi tutti i peccati del mondo".
Ma forse, paradossalmente, semmai vi è stata premeditazione da parte della scultrice, ciò viene a coincidere con la predizione dello scrittore secondo il quale "la natura imita quello che le propone l'opera d'arte" perchè "l'arte finisce dove comincia l'imitazione": ed è questo l’assunto del suo poemetto in prosa “L’artista”, quasi prefigurante la “Storia di Salomè” di Lydia Silvestri.
Se prendiamo in prestito due brani, l’inizio e la fine, riusciremo a comprendere meglio lo spirito del discorso: “Una sera la sua anima fu presa dal desiderio di foggiare il simulacro del Piacere che si arresta per un attimo. E uscì per il mondo in cerca del bronzo. Perché sapeva pensare solamente in bronzo (…) E egli prese il simulacro che aveva foggiato, e lo mise in una grande fornace, e lo consegnò alle fiamme. E con il bronzo del simulacro del Dolore che dura in eterno foggiò l’immagine del Piacere che si arresta per un Attimo”.
Se poi aggiungiamo a questa citazione un altro aforisma wildiano completeremo, in sintesi, l’approccio problematico all’estetica del Decadentismo: “Pensiero e linguaggio sono per l’artista strumenti di un’arte. Vizio e virtù sono per l’artista materiali di un’arte”.
Riscontrando singoli analogie estetico-comportamentali, fra la “decadenza” del secolo scorso e l’attuale, entrambe coincidenti con la ricerca di nuovi modelli e valori alternativi, Lydia Silvestri ha trovato uno stimolante catalizzatore tematico nella “Storia di Salomè” e, prima ancora, nella trasposizione sculturale dei temi biblici in cui emerge quella conflittualità permanente che possiamo ravvisare nella stesa esistenza umana, attraverso il rispecchiamento o la dissoluzione dell’essere nei dualismi ricorrenti, metaforizzati dal pensiero creativo: sacro-profano, vizio-virtù, odio-amore, piacere-dolore.
Pertanto, forme e simboli d’arte, metamorfosati dalla Silvestri, rivivono o, meglio, reincarnano nella “Storia di Salomè” l’esemplarità tutta esistenziale, ma convertita nei “materia di un’arte” (la scultura), del “piacere che si arresta per un attimo” per cristallizzarsi nel “dolore che dura in eterno”.
 
Diciamo allora che, emblematicamente, Salomè è un archetipo della contraddizione umana, della lussuriosa sfrenatezza dei sensi che si placa soltanto nell’eterno dolore dello spirito, veramente aldilà del bene e del male. Così l’ambiguità duale dei sessi, il rapporto attrattivo (implosivo ed esplosivo) fra l’utero e il fallo, le cognizioni del piacere e del dolore che presiedono all’orgasmo (possedere ed essere posseduti nel contempo), rientrano perfettamente in quei “concetti di valore” (etici, estetici, religiosi, sociali) che, al di fuori dei vincoli istituzionali, costituiscono il tessuto connettivo dell’esperienza umana.
 
E Oscar Wilde, sostenendo che “vizio e virtù sono per l’artista materiali di un’arte”, non faceva altro che convalidare, spregiudicatamente, l’evidenza dei fatti storici per muovere una serrata e lucidissima critica alla “pruderie” moralistica del suo tempo.
Lydia Silvestri non si comporta diversamente, sennonché al posto delle parole usa le forme: perché sa pensare solamente in bronzo per dirla come Oscar Wilde.
Però questa è la risultante espressiva di una serie di “incontri”, estremamente selezionati e meditati, con l’estetica del Decadentismo, nella quale “la carne, la morte e il diavolo” (per riprendere, non a caso, l’omonimo titolo del famoso libro di Mario Praz) forniscono un accattivante repertorio di personaggi e vicende tipizzanti le bellezze sadiche ed esotiche di Gautier (Cleopatra), di Flaubert (Salammbô; la regina di Saba delle “Tentazioni di Sant’Antonio”; Herodias, madre di Salomè), di Swinburne (Rosamond, modello di donna-concubina vagheggiato dai Preraffaelliti, in particolare Rossetti e Burne-Jones) fino a Wilde (Salomé, illustrata da Beardsley). In questo campionario di belles dames sans merci la Silvestri ha preferito Salomè alle altre, soprattutto per l’impasto di sadismo e masochismo in essa mirabilmente esemplato, anche dal punto di vista della traducibilità “narrativa” in forme sculturali.
E in effetti la scelta non poteva essere migliore, prestandosi appunto alla monumentalizzazione (sia pure in formato ridotto) di una “storia” ispirata al “mistero” della più controversa sessualità: la passione amorosa, la perversione dei sensi, il piacere sadomasochista, il dolore che dura in eterno, la riconciliazione “cosmica” di Eros e Thanatos.
 
Il tutto consegnato al “convertitore” poetico dell’immaginazione per configurarsi nel “tutto-tondo” della scultura. Però, in proposito, bisogna precisare che si tratta di un “tutto-tondo” illusivo, virtualmente desunto della bi frontalità dell’impianto sculturale, interno al riquadro geometrico della struttura portante: che consente all’artista di risolvere problemi di spazio (dai “vuoti” pausati, a scansione dinamica, ai “pieni” gestiti nel ritmico andamento formale, talvolta volutamente “barocco”, aggredendo rapinosamente l’occhio con la policromia del bronzo patinato).
Una condensazione di umori, di mollezze sensuali, di brividi carnali, di inquietanti evocazioni: dove Salomè viene simbolizzata nell’agglutinante rito sacrificale del piacere e del dolore, compresenti in questa ribollente sagra uterina degli istinti (della vita e della morte).
Così, per metamorfosi immaginativa, la carne diventa bronzo nella “Storia di Salomè” di Lydia Silvestri»
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Miklos N. Varga


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